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GIUSTIZIA RIPARATIVA: INCONTRO CON AGNESE MORO

Sono passati alcuni mesi ormai da quando la mia classe e io abbiamo iniziato questo percorso di Giustizia Riparativa. Abbiamo incontrato tanti ospiti, ascoltato numerosi interventi e assistito a testimonianze persino toccanti, di quelle di fronte alle quali non si può rimanere indifferenti.

Eppure, mi sento proprio di dire che grazie all’incontro dell’altra sera, lunedì 23 ottobre, con Agnese Moro questo percorso sia giunto a compimento. Vediamo di chiarire perché.

Sin da subito il progetto della Giustizia Riparativa mi ha colpito molto, perché sentivo che in qualche modo parlava a me, a noi.

Magari alcuni di voi si staranno giustamente chiedendo: ma di che cosa si tratta?

Ebbene, la Giustizia Riparativa è un modello di giustizia innovativo, profondamente diverso dal paradigma tradizionale della giustizia, la cosiddetta “Giustizia Retributiva”, in cui il colpevole è chiamato a ripagare la società del danno che ha provocato scontando una pena. Infatti, nella Giustizia Riparativa viene data importanza a tutte e tre le parti coinvolte in un crimine: il colpevole, la società e le vittime. Il loro compito è, semplicemente, quello di dialogare, per cercare di risolvere pacificamente i conflitti che ciascuno di loro si porta dentro e di scacciare i fantasmi che tormentano le loro vite.

Ricordo una bellissima immagine usata da Giorgio Bazzega, figlio di una vittima degli Anni di Piombo, in uno degli incontri cui abbiamo assistito: la Giustizia Riparativa vuol dire “colpevoli e vittime che si prendono per mano, attraversano il dolore che hanno, rispettivamente, provocato e subìto e rinascono, luna responsabilizzata e laltra rasserenata”.

Un’altra espressione che ricordo nitidamente è di Franco Bonisoli, ex-brigatista, che parlò della Giustizia Riparativa come di uno strumento attraverso cui le persone, tanto le vittime quanto i colpevoli, recuperano la propria dignità. E un progetto che ha a che fare con la “dignità” delle persone io penso valga sempre la pena.

Ed è proprio parlando di Franco Bonisoli che mi riallaccio ad Agnese Moro: Franco Bonisoli fu uno dei brigatisti che presero parte all’eccidio di Via Fani (16 marzo 1978), in cui fu rapito l’Onorevole Aldo Moro, padre di Agnese, poi ucciso, sempre dalle BR, il 9 maggio dello stesso anno.

Durante l’incontro di lunedì, Agnese ha parlato anche del suo incontro con Franco. Curiosamente, anche Franco, mesi addietro, ci aveva parlato del suo primo incontro con Agnese. Dalla testimonianza di entrambi è trasparso l’autentico affetto che oggi i due nutrono l’uno per l’altra. Come sia stato possibile questo “passo impossibile” (parole di Agnese), io stesso faccio fatica a spiegarmelo. Per questo lascio che a parlare sia Agnese:

Questo era un incontro diverso, completamente; ci avevo tenuto ad accoglierlo in casa mia. Rimasi colpita e ammirata dalla sua volontà di venire: alla fine, pensai, è una persona che non mi deve niente, che ha scontato tantissimi anni di carcere. Per di più, casa mia era piena di foto di mio padre, e allora pensai: cosa faccio, le tolgo? No, perché io sono questa, è giusto che mi veda per quella che sono.

Subito gli dissi: parliamo di vita, non di morte; che cosa hai fatto lo so, non mi interessa, dimmi cosa è successo dopo. Ad un certo punto ha chiesto a Claudia e Adolfo [i mediatori dell’incontro, ndr] di lasciare la stanza, temendo che io fossi restia a chiedergli qualcosa. Io ebbi fiducia di stare con lui e lui con me.

Lo trovai un gesto di estrema delicatezza. Queste persone hanno abitato come mostri nella mia testa per tanti anni, perciò trovarmi di fronte una persona così delicata è stata per me una sorpresa.

La cosa che mi colpì di più tra quelle che ci dicemmo quel giorno fu che lui, quando era in carcere, aveva chiesto dei permessi per andare a parlare con i professori dei figli. Mi si aprì un mondo su questa preziosa umanità, e per questo fui molto grata a Franco.

Direi che queste parole parlano da sole. L’unica cosa che mi sento di aggiungere riguarda un altro passaggio della conferenza dell’altra sera che ho trovato estremamente toccante: parlando di suo padre, Agnese ha spiegato come egli sieda tuttora nel suo “parlamento interiore”, quel consiglio che si riunisce dentro di lei quando deve prendere una decisione e che è fatto di mille voci. Tra tutte, quella di suo padre è, racconta, una voce “molto autorevole e garbata” e profondamente “rammaricata di non essere stata capita fino in fondo”. Ho trovato questa immagine di un’intimità e di una dolcezza infinite.

Non sarò mai grato abbastanza a questa grande donna per aver condiviso tali e tante parole di speranza con dei giovani che, di speranza, oggi come da sempre, hanno un di-sperato, ecco appunto, bisogno. Matteo